Le serie tv (o “telefilm”, come vengono definite in Italia -caso unico nel mondo) sono un genere televisivo presente praticamente fin dagli esordi del piccolo schermo e dal suo ingresso nelle case dei telespettatori. Il motivo è presto detto: le serie tv, da sempre, hanno una funzione di “fidelizzazione” per il network che le manda in onda.
Il che vuol dire che, se una serie tv ha successo, il pubblico che la segue sarà più propenso a restare su quel canale sia prima che dopo la sua messa in onda e, soprattutto, tornerà su quelle frequenze anche la settimana successiva, allo stesso giorno ed alla stessa ora, per seguire un altro episodio di quella stessa serie tv.
La geografia delle serie tv: USA rules

Hollywood Sign on Mount Lee in the Hollywood Hills
Da sempre, la patria per antonomasia delle serie tv sono gli Stati Uniti. Qui, infatti, fin dal primi anni di sviluppo del mezzo televisivo, i grandi studi cinematografici si sono interessati al tubo catodico. Da qui, l’apertura di canali gestito dalle major, tutt’oggi in onda (la ABC è di proprietà della Disney, la NBC della NBCUniversal, gruppo dentro cui c’è anche, appunto, la Universal; la FOX è stata acquistata, a fine 2017, sempre dalla Disney e The CW della Warner Bros. Questo per quanto riguarda i network generalisti).
Questi hanno così sfruttato le proprie risorse a disposizione, compresi i teatri di posa, per realizzare produzioni seriali adatte ad un pubblico più vasto possibile. Un’industria televisiva che, ancora oggi, macina ore ed ore di lavoro nell’arco dell’anno, producendo centinaia di episodi in una singola stagione televisiva.
Ovviamente, la distribuzione all’estero -sia ai network che alle piattaforme di streaming on demand- non ha fatto altro che rafforzare questa posizione all’interno del mercato audovisivo, rendendo gli Stati Uniti non solo i primi per esportazione di serie tv, ma anche i migliori nella capacità di proporre al pubblico storie sempre più curate nei dettagli, provocatorie ed, ovviamente, al passo con i tempi. L’Europa, però, non è stata a guardare e, negli ultimi anni, ha ideato essa stessa un sistema che produce una serialità che possa competere con quella americana, se non dal punto di vista della quantità, sicuramente sulla qualità.
L’evoluzione di un genere: dalla trama verticale a quella orizzontale, dalla tv generalista alla via cavo ed le piattaforme di streaming
Nonostante una produzione variegata fin dagli esordi, nei suoi primi decenni di vita la serialità televisiva americana ha avuto dei punti fissi, da cui non si è mai allontanata. Stiamo parlando di una struttura narrativa formata dalla cosiddetta “trama verticale”, ovvero episodi autoconclusivi, con storie con un inizio, uno svolgimento ed un finale nell’arco dei 40-45 minuti della puntata.
Questo proprio per aumentare la fidelizzazione di cui sopra, e non spaventare quei telespettatori che si sarebbero potuti perdere uno o più episodi di uno show. L’idea, però, era anche quella di mantenere una storyline semplice, didascalica, che non turbasse il pubblico e non lo costringesse ad andare a dormire con il dubbio sulla sorte di questo o quell’altro personaggio. Immancabile, quindi, anche il lieto fine, presente in ogni serie e punto fermo degli sceneggiatori.
Con l’arrivo anche di un nuovo modo di fare cinema, più audace e provocatorio, anche se le serie tv hanno iniziato ad osare dal punto di vista narrativo. Siamo intorno agli anni Settanta, ed iniziano ad emergere serie tv che affiancano alla trama verticale quella “orizzontale”, che prediligono anche un racconto che si sviluppi nell’arco di più episodi, permettendo così anche un approfondimento psicologico maggiore dei personaggi e la trattazione più dettagliata di tematiche anche spinose ed attuali. Serie come “La casa nella prateria” (in onda dal 1974 al 1983), in altre parole, riescono a produrre contenuti leggeri ed altri più seri affrontando, nell’arco delle stagioni, tematiche legate al razzismo, all’alcolismo ed alla povertà.
Negli anni Ottanta si comincia sempre di più ad approfondire temi un tempo proibiti, ed a creare personaggi in bilico tra bene e male. Complice la diffusione del genere poliziesco, nascono serie come “Hill street giorno e notte” (dal 1981 al 1987), che raccontano la lotte contro il Male delle Forze dell’ordine, o come “New York New York” (dal 1982 al 1988), fortemente ispirate nelle creazione delle due protagoniste dal movimento femminista.
Ma è con gli anni Novanta che le serie tv prendono il volo, divertendosi (e divertendo il pubblico) a trattare i più vari temi: dal mondo surreale di David Lynch e “Twin Peaks” (in onda dal 1990 al 1991, con un revival nel 2017), alle storie ispirate alla realtà di “Law & Order” (in onda dal 1990, sotto forma di serie originale prima e spin-off poi), fino ai drammi familiari di “Party of Five” (in onda dal 1994 al 2000) ed all’adolescenza narrata tramite le storie dei giovani protagonisti di “Beverly Hills, 90210” (in onda dal 1990 al 2000) o con lo sguardo del fantasy di “Buffy-L’ammazzavampiri” (in onda dal 1997 al 2003).
Negli anni Duemila, infine, mentre le generaliste continuano ad imporre la propria forza con serie che entrano subito nella Storia delle televisione come “Lost” (dal 2004 al 2010), “Desperate Housewives” (dal 2004 al 2012) e “Grey’s anatomy” (dal 2004), entrano in gioco due nuovi competitori, che cambieranno inevitabilmente le carte in tavola: la tv via cavo, che fino ad allora aveva composto i suoi cataloghi con serie tv in syndication (ovvero acquistate dai network generalisti e mandate in onda in replica) e film; e le piattaforme digitali. La prima si è imposta con una serialità più audace, complice il fatto di non dover rispondere alle esigenze degli investitori ma solo ai gusti del pubblico, con storie crude, violente e diventate cult -in questo, la Hbo ha un ruolo di primo piano, grazie a show come “Oz” (1997-2003), “I Soprano” (dal 1999 al 2007), “The Wire” (dal 2002 al 2008) e “Game of Thrones” (in onda dal 2011)-; così come le seconde hanno cercato di puntare sulle nuove esigenze del pubblico, proponendo visioni di produzioni originali (come “Orange is the New Black” -dal 2013- ed “House of Cards” -dal 2013- per Netflix) senza fargli aspettare l’appuntamento settimanale, ma dandogli la possibilità di vedersi tutti gli episodi come e quando vuole.
I generi delle serie tv
In principio erano Drama e Comedy. Poi, nel corso degli anni, le serie tv si sono sempre più specializzare anche nei generi, offrendo delle sottocategorie per gusti più raffinati e per target di pubblico in cerca di racconti ambientati in determinati contesti.
Così, per i Drama, sono nate tante sottocategorie, tra cui le più utilizzate sono i polizieschi (genere più distribuito al mondo), i procedurali, i legal drama, i family drama, le serie fantascientifiche (meglio note come sci-fi), gli horror, i teen drama, i fantasy, i political drama, i medical drama ed i mistery.
Le Comedy, invece, si suddividono principalmente in “single camera” (in cui le scene sono riprese con più ciak, e fanno grande uso di esterni, come “Scrubs”, in onda dal 2001 al 2010) e “multicamera” (in cui le scene avvengono in studio, di fronte ad un pubblico, e sono riprese con più telecamere contemporaneamente, come “The Big Bang Theory”, in onda dal 2007). Anche in questo caso, le comedy possono essere suddivise in numerosi sottogeneri, dal mockumentary, ovvero il finto documentario che ironizza sui protagonisti e le loro situazioni (come “Modern Family”, in onda dal 2009; “The Office”, in onda dal 2005 al 2013; o “American Vandal”, in onda dal 2017) alla sit-com -abbreviativo di “situation comedy”-, passando per la workplace comedy, in cui l’ambientazione principale è il luogo di lavoro dei protagonisti (come “Superstore”, in onda dal 2016).
Ma la continua varietà di generi ha portato, negli anni Duemila, a quello che inevitabilmente sarebbe dovuto accadere, ovvero l’ibridazione dei due grandi generi in un unico genere, il Dramedy. Serie tv che fanno ridere ma che fanno anche riflettere, che hanno personaggi sopra le righe ma che non disdegnano scene toccanti, che non possono essere definite Drama ma neanche Comedy. E’ il caso di “Una mamma per amica” (in onda dal 2000 al 2007 e poi ripresa da Netflix nel 2016), di “Orange is the New Black” o di “Shameless” (in onda dal 2011). Una situazione che genera spesso polemiche, durante la stagione dei premi televisivi, dal momento che possono rientrare un entrambe le categorie e, quindi, avere più o meno possibilità di vittoria a seconda dei titoli concorrenti.
La terminologia delle serie tv
Un appassionato di serie tv potrebbe snocciolare una serie di definizioni che per molti potrebbero sembrare parte di uno slang sconosciuto, ma che invece compongono il linguaggio più comune utilizzato dagli addetti ai lavori. Si può parlare, ad esempio, di pilot (ovvero l’episodio numero zero, con cui i produttori devono convincere i network ad ordinare la serie), di cliffhanger (il finale aperto, con cui si tiene alta la suspense e si invoglia il pubblico a seguire gli episodi successivi), di revival (quando una serie chiusa da tempo viene riproposta con nuovi episodi, come successo per “Will & Grace”, in onda dal 1998 al 2006 e poi dal 2017), di recasting (quando un attore o un’attrice lascia lo show ed i produttori decidono di assegnare il ruolo ad un’altra persona), di twist (ovvero il classico colpo di scena), di spin-off (una serie che deriva da un’altra, come “Private Practice”, spin-off di “Grey’s anatomy”, in onda dal 2007 al 2013) e di crossover (quando due serie realizzando due episodi con una trama che s’intreccia). La parola appartenente a questo universo più nota, però, è spoiler, ovvero l’anticipazione non voluta su un episodio: un termine così di moda da aver generato anche un verbo, “spoilerare”.
I premi dedicati alle serie tv
In America prendono molto sul serio le serie tv (e non a caso: compongono gran parte del palinsesto dei network in prima serata, più dei reality e dei talent), tanto da aver istituito dei premi diventati delle vere e proprie istituzioni. Il più famoso è l’Emmy Award, creato dall’Academy of Television Arts & Sciences, assegnato dal 1949 ogni anno, fino ad assumere la stessa importanza degli Oscar.
Ci sono, poi, i Golden Globes, assegnati dall’Hollywood Foreign Press Association (la stampa straniera che lavora in America) dal 1994 per il cinema e dal 1956 per la tv; ma anche gli Screen Actors Guild Awards, assegnati dal sindacato degli attori dal 1995, ed i Writers Guild of America Awards, nati nel 1949 dai sindacati dei sceneggiatori americani.
Se in questi casi a votare sono addetti ai lavori, i People’s Choice Awards, istituiti nel 1975, invece, si basano sui voti del pubblico comune, così come i Teen Choice Awards (nati nel 1999) si affidano alle preferenze dei più giovani.
Le serie tv in Italia
Come detto in principio, l’Europa negli ultimi anni si è data da fare per alzare il livello della propria produzione seriale, per poter competere in distribuzione e qualità con gli Stati Uniti. Anche l’Italia, negli ultimi anni, sta lavorando in questa direzione, puntando su serie tv che siano appetibili al pubblico di casa ma anche a quello straniero.
“Romanzo Criminale” (2008-2010) prima e “Gomorra-La serie” (in onda dal 2014) hanno evidenziato lo sforzo della pay tv nel realizzare produzioni che ottenessero risalto anche all’estero, sforzo che è proseguito anche con “The Young Pope” (in onda dal 2016), frutto addirittura di una collaborazione tra Italia, Francia e Stati Uniti.
La tv generalista, complice la necessità di dover piacere a più telespettatori possibili, è stata più cauta nel cercare nuovi generi da portare in prima serata, ma negli ultimi anni ha intrapreso delle strade che stanno portando i loro frutti. E’ il caso, per la Rai, di serie come “I Medici” (in onda dal 2016), “Rocco Schiavone” (in onda dal 2016) o “La Porta Rossa” (in onda dal 2017), che hanno attirato la curiosità di mercati stranieri. Mediaset, invece, con un budget inferiore, ha puntato su serie più classiche, riuscendo però a far sbocciare produzioni diventate cult, come “Distretto di Polizia” (in onda dal 2000 al 2012), “Ultimo” (miniserie in onda dal 1998), “Elisa di Rivombrosa” (in onda dal 2003 al 2005) e “Rosy Abate” (in onda dal 2017). Anche Netflix, infine, nel 2017 ha puntato su una produzione tutta italiana, “Suburra-La serie”, distribuita in tutti i Paesi in cui il servizio è disponibile.